Riscatti

Riscatti è un lavoro collettivo che Andrea Abati ha sviluppato all’interno della Casa Circondariale di Prato La Dogaia e costituisce l’ultima tappa di un percorso iniziato nel 2013, nel quale si è scelto di concentrarsi sul ritratto come forma espressiva, manifestazione del sé e specchio privilegiato delle condizioni mentali e ideologiche che sono il frutto delle contingenze temporali e della cultura della società di appartenenza.  Abati condivide la propria autorialità con i ristretti. Una serie di dipinti  diventa la base per un’attività di interpretazione e sostituzione. Nasce così un lavoro a più mani. Riscatti recupera l’importanza del processo creativo, concentrandosi su di esso prima che sul concetto di opera, e utilizza il mezzo fotografico sia come dispositivo concettuale sia come strumento tecnico.

Dall’introduzione di Chiara Ruberti

Riscatti è un lavoro collettivo che Andrea A­­­bati ha sviluppato all’interno della Casa Circondariale di Prato La Dogaia e costituisce l’ultima tappa di un percorso iniziato nel 2013, nel quale si è scelto di concentrarsi sul ritratto come forma espressiva, manifestazione del sé e specchio privilegiato delle condizioni mentali e ideologiche che sono il frutto delle contingenze temporali e della cultura della società di appartenenza. Punto di partenza del lavoro è la citazione di un aneddoto, poco noto ai più, della storia dell’invenzione della fotografia. Nel 1839 Louis Daguerre, artista chimico e fisico ben inserito nella borghesia francese, viene universalmente riconosciuto come l’inventore del processo fotografico, grazie all’intervento di François Arago, membro della camera dei deputati del governo francese, che rende pubblico il procedimento del dagherrotipo. Tra gli altri pionieri della fotografia, il più sfortunato è sicuramente Hippolyte Bayard, oscuro impiegato governativo, che nel ’39 espone a Parigi i primi trenta positivi diretti su carta della storia della fotografia che però, nello scalpore suscitato dal dagherrotipo, vengono completamente ignorati. A Bayard non resta, come segno di protesta, che la denuncia dell’ingiustizia subita attraverso il celebre Autoritratto come un annegato (1840), citazione del Marat assassiné (1783) di Jacques-Louis David.

La riflessione sui meccanismi di identificazione e di riconoscimento sociale, sulla ricerca di sé e sulla fragilità dell’io, e la rivendicazione della fotografia come narrazione e non solo come mero documento sono dunque al centro di Riscatti. Da un ciclo di incontri laboratoriali nel carcere di Prato nasce questo lavoro nel quale Abati condivide la propria autorialità con i detenuti. Una serie di dipinti, alcuni dei quali molto noti, realizzati in un ampio periodo che va dal XV al XIX secolo, diventa la base per un’attività di interpretazione e sostituzione. Nasce così un lavoro a più mani: i detenuti ritraggono se stessi nella stessa posa e con la stessa luce usata per il personaggio nel dipinto da loro scelto, Abati interviene in post-produzione inserendo il volto dei detenuti nella riproduzione fotografica del dipinto originale. Oggi le nuove tecnologie permettono a tutti di fare fotografie e si assiste a una bulimica produzione/diffusione delle immagini, che diventano spesso mere dilatazioni dell’esperienza, istantanee esclamazioni di vitalità senza nessuna attenzione alla composizione, alla ripresa e al racconto. Riscatti recupera l’importanza del processo creativo, concentrandosi su di esso prima che sul concetto di opera, e utilizza il mezzo fotografico sia come dispositivo concettuale sia come strumento tecnico.

Chiara Ruberti

Prato, 2015