Accostamenti: il Mare

La serie fotografica è stata presentata in occasione della mostra collettiva Da Guarene all’Etna a cura di Filippo Maggia per Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. La mostra è stata presentata a Taormina, Palermo, Modena, Milano, Venezia. Alcune opere di questa serie sono entrate a far parte della Collezione Permanente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e sono state esposte e pubblicate in diverse sedi e cataloghi tra cui la mostra H2O, Palais Lumiére, Evian (Francia) nel 2010, presentata da Francesco Bonami e curata da Irene Calderoni, oltre che nella mostra Deep Feelings, alla Kunsthalle di Krems, Austria.

Nella serie di fotografie dal titolo Accostamenti: il Mare proposta da Andrea Abati, autore che da numerosi anni sviluppa la sua personale ricerca sui Luoghi della Natura  (“le fotografie di Abati stabiliscono un equilibrio narrativo che porta, in maniera salutare, a riconsiderare e riesaminare la strategia di approccio con il paesaggio. l’ambiente, il territorio” scriveva nel 1988 Luigi Ghirri), il colore, solo in apparenza alterato, è lo strumento grazie al quale il fotografo dà forza e nuova identità a elementi naturali fra loro combinati: terra, cielo, acque. Del mare, luogo di confine ove questi elementi s’incontrano e lungamente ritenuto depositario dell’ignoto – e per questo inquietante quanto avvolgente -, Abati vuole restituire un’immagine primitiva, mostrandone le risonanze interiori fatte di continue armonie e contrasti. Il mare diviene il simbolo della precarietà del momento inafferrabile, della mutazione dei luoghi, della mutabilità dei riferimenti.

Filippo Maggia

Con questo nuovo progetto, Da Guarene all’Etna, via mare, via terra, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per l’Arte ribadisce la sua attenzione verso la fotografia italiana, proponendo i lavori di quindici autori invitati a lavorare su temi loro indicati. Questo aspetto, l’incarico, segna un ulteriore passaggio nella politica culturale che, specie negli ultimissimi anni, ha connotato l’attività della Fondazione. Verificata infatti la necessità di operare una riflessione sulle recenti espressioni della fotografia italiana alla luce di quanto accaduto nel corso degli ultimi quindici anni, si è voluto, con questa mostra, superare il classico modello espositivo che normalmente comporta la proposizione di opere selezionate, ma già esistenti, rappresentative di un’idea, raccolte intorno ad un concetto. Gli autori invitati hanno lavorato su territori a loro consoni, secondo modalità che da sempre hanno distinto la loro ricerca, sviluppando in totale autonomia quelle che erano state le originarie indicazioni. Il dialogo continuo fra artisti e curatore e l’impegno costante della Fondazione nel risolvere le esigenze degli artisti durante la produzione delle opere hanno così contraddistinto l’evolversi del progetto mostra nel corso dell’ultimo anno (gli incarichi sono stati affidati nell’autunno del 1998). Con questo atteggiamento, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per l’Arte vuole sottolineare il proprio ruolo nel contribuire alla promozione di nuove forme d’arte, la fotografia italiana in questo caso, non solo in qualità di istituzione patrocinante iniziative, quanto di istituzione partecipante alla vita culturale del nostro Paese.

Patrizia Sandretto Re Rebaudengo introduzione al catalogo della mostra Da Guarene all’Etna via mare via terra. Catalogo della mostra presso ex Chiesa del Carmine, Taormina. Organizzata dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per l’Arte. Baldini & Castoldi, Milano, 1999.

Accostamenti: il Mare

Accostare fotografia e mare sembra una contraddizione in termini – il mezzo bidimensionale applicato al luogo naturale della profondità – ma, simultaneamente, appare uno dei modi, il più emblematico, per affrontare il problema della tarda modernità: come adattare l’autorappresentazione interiore consueta, imperniata su un’idea dell’abisso oscuro, alla mutazione antropologica che ci riporta alla sottigliezza del modulo indifferenziato polifunzionale? A seconda dei punti di vista il problema si prospetta interessante (per chi ama avventurarsi) o drammatico (per chi ama le certezze), mentre ciò che lo rende ineludibile e pressante è l’automatismo che l’uomo, forse per la prima volta, ha innescato nel corso del processo evolutivo. La parte più sensibile della generazione vigente si sta interrogando sulla questione e come sempre gli artisti possono percepire e dare espressione a quel che si agita nella (non più sotto la-) superficie.

Il tema ha una carica simbolica che potrebbe intimorire: luogo cosmogonico (madre o padre a seconda delle culture), emblema del sé, icona dell’inconscio (germinante e/o mostruosa) qui viene ritratto nell’ora più inquietante, la notte, e nell’aspetto più enigmatico, la sua superficie sempre ambigua: se incombe l’obbiettivo o viene abbagliato dal riflesso della luce artificiale o dal miraggio delle pietre o dalle ombre che solo la macchina può registrare (ectoplasma?); se si accosta, abbassandosi, rappresenta l’esclusione di chi può ammirare uno spettacolo ma non prendervi parte. E il tema rimarca e rifrange l’uso dello strumento: appunto il paradosso della foto per ritrarre l’abisso che qui assume consistenze strane dal mistero ‘superficiale’ (pienamente visibile, ma non per questo comprensibile) e desiderio di impossibile immersione (come ‘penetrare’ in una interfaccia? che è poi la nostra immagine riflessa).

Nel dialogare tra spazi simbolici, spesso sopra una superficie del mare abbagliante e sovraesposta incombe un cielo nero di materia opaca, a volte sul mare livido, impermeabile, si stende una luminosità bianca senza prospettiva. Si resta con la sensazione di sogni rubati dal fondo della caverna e portati alla luce del fuori, icone denudate, strane, idoli fossili di una religione morta ancora privi di sincretismi. Questi sogni ri-guardano proprio noi, adesso.

Gianni Cascone